Onorevoli Colleghi! - Nello scrivere la presente proposta di legge, sono stati assunti due fondamentali punti di riferimento: per un verso la realtà, letta nella sua evidenza, al di là delle preferenze di ciascuno, e per un altro verso il programma dell'Unione, sottoposto al voto degli elettori.
      La realtà è indubbiamente quella di una diffusione del fenomeno delle coppie di fatto eterosessuali, spesso come tappa intermedia verso il matrimonio, ed è anche quella di una emersione del fenomeno delle coppie omosessuali.
      Il programma dell'Unione, com'è noto, prevede:

      «L'Unione proporrà il riconoscimento giuridico di diritti, prerogative e facoltà alle persone che fanno parte delle unioni di fatto. Al fine di definire natura e qualità di una unione di fatto non è dirimente il genere dei conviventi e il loro orientamento sessuale. Va considerato piuttosto quale criterio qualificante il sistema di relazioni sentimentali, assistenziali e di solidarietà, la loro stabilità e volontarietà».

 

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      È evidente che il testo, pur nella sua brevità e genericità, intende escludere differenze tra eterosessuali e omosessuali, e quindi intende ricercare soluzioni che valgano a prescindere dall'orientamento sessuale, una sorta cioè di «regole ombrello», valide per entrambi, e non una giustapposizione tra soluzioni diverse.
      Più complicata è la distinzione tra diritti delle persone (riconosciuti) e diritti delle unioni (non riconosciuti). Se si tratta di diritti è chiaro, come hanno già rilevato in molti tra gli studiosi e tra i responsabili politici, che essi devono essere opponibili ai terzi, e quindi che non possono essere limitati ai rapporti tra privati (che poi la legge li ponga nel codice civile o, comunque, in altre discipline di natura privatistica, è scelta secondaria) ed è altresì evidente che, se questi sono diritti che spettano a persone che «fanno parte delle unioni di fatto», bisogna pure trovare un modo per certificare che ciò corrisponda a una effettiva realtà, e quindi rilevare giuridicamente, ovvero amministrativamente, l'esistenza delle unioni di fatto.
      La differenza con la famiglia, e quindi l'interpretazione più precisa del programma dell'Unione, sembra possa dunque essere la seguente: la famiglia è fondata sul matrimonio, pertanto i diritti specifici sono consequenziali a quel fondamento.
      Le unioni di fatto, invece, sono realtà nelle quali il diritto nasce dal fatto, non da un fondamento; sono una tipologia di «formazioni sociali», di cui all'articolo 2 della Costituzione, come ha affermato più volte la Corte costituzionale, in cui i diritti sono riconosciuti rispetto alla funzione di fatto esercitata da esse.
      Riteniamo, pertanto, che il miglior modo di collegare la realtà con il programma dell'Unione sia il seguente:

          a) definire sempre i diritti come diritti delle persone nelle unioni e non delle unioni come tali, analogamente a quanto stabilito nel programma;

          b) prevedere la certificazione a livello comunale non per celebrare unioni, ma per formalizzare la loro previa esistenza, per cui appunto il diritto nasce dal fatto e non viceversa;

          c) che i diritti siano proporzionati a tali doveri e pertanto coinvolgano almeno l'estensione dell'assistenza sanitaria e penitenziaria, la successione nel contratto di locazione, il rilievo per le graduatorie occupazionali e per l'edilizia popolare, i trattamenti previdenziali e la successione.

      Passando a illustrare, nello specifico, i singoli articoli della proposta di legge, all'articolo 1 si definisce l'unione di fatto come una relazione affettiva tra due persone maggiorenni non interdette, che convivano stabilmente e che, nell'ambito della stessa convivenza, abbiano assunto gli impegni specificati all'articolo 3.
      L'articolo 2, al comma 1, prevede il riconoscimento dei diritti e delle facoltà, nonché delle relative responsabilità dei soggetti componenti l'unione di fatto, attraverso una dichiarazione congiunta, da presentare all'ufficiale di anagrafe presso il comune dove uno dei due ha la residenza, o dove essi intendono stabilire la loro residenza comune, ai sensi degli articoli 4, 13, comma 1, lettera b), 21 e 33 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223. Questo dispositivo, e l'esclusione, quindi, di forme celebrative para-matrimoniali, rappresenta uno degli elementi atti a mantenere l'unione nell'area del fatto, avendo la registrazione una funzione meramente certificativa. Con il comma 2 si specificano gli impedimenti a formare le unioni di fatto. I contenuti della dichiarazione di cui al comma 1 saranno definiti con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro per i diritti e le pari opportunità e con il Ministro delle politiche per la famiglia, da adottare entro due mesi dalla data di entrata in vigore della legge (comma 4).
      L'articolo 3 definisce i rapporti personali tra i soggetti componenti dell'unione di fatto, che sono tenuti ad assicurarsi reciproca assistenza morale e materiale in ragione delle proprie possibilità e capacità,

 

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e a garantire il mantenimento, l'istruzione e la formazione di eventuali figli.
      L'articolo 4 disciplina i rapporti economico-patrimoniali, indicando, tra l'altro, quale regime patrimoniale legale tra i componenti dell'unione di fatto quello della separazione dei beni. In ogni caso, si intende ribadire che il rapporto patrimoniale tra i conviventi è questione che interessa unicamente la loro autonomia privata.
      Il campo dell'assistenza sanitaria e penitenziaria, nonché quello delle decisioni correlate al momento della morte, di cui all'articolo 5, costituiscono senza dubbio uno dei settori in cui l'esigenza di equiparazione delle coppie di fatto ai coniugi appare maggiormente sentita.
      Il diritto alla successione nel contratto di locazione, di cui all'articolo 6, è già previsto in caso di morte dell'intestatario (articolo 6 della legge n. 392 del 1978, così come integrato dalla Corte costituzionale, con la sentenza 7 aprile 1988, n. 404). Si è ritenuto di estenderlo al caso di cessazione dell'unione, derivante da abbandono della comune residenza da parte dell'intestatario. Si è prevista poi, al comma 2, l'ipotesi di successione nel diritto di abitazione.
      L'articolo 7 stabilisce che l'unione di fatto sia titolo preferenziale, laddove lo è, nella legislazione vigente, l'appartenenza ad un nucleo familiare, per l'inserimento in graduatorie occupazionali e per l'assegnazione di un alloggio di edilizia popolare (previsione, questa, già applicata nei bandi di molti comuni).
      L'articolo 8 è, invece, relativo ai benefìci di natura previdenziale e alla successione patrimoniale. Essendo ambiti di notevole complessità e potendo prevedere, soprattutto le norme previdenziali, importanti previsioni di spesa, si è scelto di rimandare la definizione della normativa in oggetto a uno o più decreti legislativi, che il Governo dovrà emanare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, secondo i princìpi e i criteri direttivi specificati nell'articolo stesso.
      L'impostazione generale della proposta di legge suggerisce, all'articolo 9, di evitare di parlare di scioglimento (in quanto peraltro non vi è costituzione), ma di cessazione. Così come nasce «in fatto», l'unione cessa «in fatto» e, dunque, non ha senso ipotizzare formalità di sorta, che non siano quelle strettamente inerenti alla funzione certificativa della dichiarazione.
      Il comma 1 stabilisce quindi che, in caso di cessazione dell'unione di fatto, ciascuno dei componenti presenti dichiarazione in forma scritta secondo le modalità previste per la dichiarazione istitutiva (articolo 2, comma 1).
      Il comma 2 chiarisce inoltre che, con la cessazione dell'unione di fatto, vengono meno i diritti, le responsabilità e le facoltà previsti dalla presente legge.
      La previsione di cui all'articolo 10, relativo all'obbligo alimentare, costituisce un'equa prorogatio dei doveri che ci si assume con la convivenza, beninteso per casi assolutamente estremi. Il presupposto, infatti, dell'obbligo alimentare (stato di bisogno) è totalmente diverso da quello che la legge prevede in caso di separazione e divorzio e, comunque, è limitato nel tempo. Inoltre, è prevista la cessazione dell'obbligo alimentare qualora l'avente diritto si sposi o formi una nuova unione di fatto.
 

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